In seguito all’arrivo della Peste Suina Africana nel pavese e agli abbattimenti di suini, necessari per arginare e sconfiggere la malattia, abbiamo assistito al delirio degli animalisti, che sono arrivati da tutta Italia e addirittura da alcuni Paesi europei, per protestare contro l’uccisione degli animali. Secondo gli attivisti, l’abbattimento dei suini nei santuari, e in particolare quelli del rifugio di Zinasco “Cuori Liberi”, che ha scatenato il putiferio animalista, sarebbe stata un’azione crudele e inutile. Di qui il proliferare di articoli disinformativi sui soliti luoghi comuni, che da anni vengono smentiti da fior di studi e dati alla mano, e petizioni da parte di Greenpeace contro gli allevamenti intensivi.
Vogliamo dunque spiegare, per l’ennesima volta, che procedere all’abbattimento di tutti gli animali nelle zone a rischio e soprattutto dei cinghiali, serve ad evitare il diffondersi del virus della PSA. Sono proprio i selvatici liberi di muoversi sul territorio i vettori della malattia, mentre gli allevamenti cosiddetti “intensivi” sono confinati e fanno da barriera protettiva contro tutte le patologie, con altissimi livelli di biosicurezza, che i piccoli allevamenti estensivi a conduzione familiare stentano ad eguagliare. Figuriamoci in questi “santuari”, dove non vengono garantite nemmeno le misure di biosicurezza più basilari, non tutelando minimamente gli animali che hanno in stalla.
Come ha ben spiegato la dottoressa Elisa Trogu, medico veterinario e suiatra, sono stati i tenutari del santuario i responsabili dell’arrivo della PSA nel loro rifugio, non avendo alcuna attenzione della situazione di allerta e del rispetto delle normative, per incompetenza o menefreghismo. I loro animali stavano morendo per PSA da settimane, che è una delle morti più atroci, con una sofferenza maggiore rispetto a qualunque tipo di fine li possa aspettare in un macello, e nessuno ha fatto niente per evitare il contagio. Anzi, questi sedicenti “amanti degli animali” hanno contribuito a propagarlo. Dov’è quindi il benessere animale in questi santuari?
In questi luoghi, gli animali vengono stabulati in un contesto assolutamente inadatto, spesso tenuti in un appartamento e obbligati a defecare su di una traversina, con calori mensili a vuoto. Sono tutti per la maggior parte obesi, impossibilitati a grufolare, privi di interazioni con i conspecifici e inconsapevolmente malati. Inoltre, i suini non amano il contatto con gli umani, mentre in questi rifugi vengono costretti ad incontri quotidiani con i visitatori, che li toccano e li accarezzano di continuo: fonte di altissimo stress per i maiali. Lo dimostra lo “scodinzolare” dei suini, che non è affatto un atteggiamento amichevole come quello dei cani, ma un comportamento aggressivo e di difesa. Quindi basta con la storiella dei maialini che correvano felici incontro ai loro carnefici, poiché in questi santuari animalisti la realtà viene completamente travisata. Anche per l’evidente ignoranza dei tenutari, che ovviamente non hanno seguito il lungo percorso di studi, di conoscenze decennali e di competenze acquisite dei veterinari.
Negli allevamenti invece, nonostante gli animali siano destinati al macello, sono estremamente controllati e tutelati, sono sani e vivono la loro vita in tranquillità senza alcuna sofferenza o stress. È allucinante leggere ancora sul sito di Greenpeace che gli allevamenti intensivi sono causa di deforestazione, di polveri sottili, di inquinamento, di consumo insostenibile delle risorse e fonte di contagio di virus quando è vero l’esatto contrario.
Proprio durante il lockdown 2020 abbiamo avuto modo di verificare con i nostri occhi le vere origini delle emissioni di particolato e micro-polveri, grazie alle foto dal sito di Arpat Toscana che mostrano chiaramente le immagini della Pianura Padana prima e durante il lockdown, quando erano attive solo le produzioni zootecniche e ferme quasi tutte le industrie e i trasporti. La zootecnia in Italia pesa appena il 5,2% sul totale delle emissioni di CO2, mentre il settore dei trasporti si conferma tra i più impattanti, con il 23,2% delle emissioni, insieme al settore energetico, che impatta per il 23,3%.
Gli allevamenti protetti sono quindi un baluardo contro il diffondersi dei virus e lo dimostra il caso della Sardegna, dove la PSA l’hanno sconfitta già da tempo, grazie a serie misure di biosicurezza, abbattimenti dei selvatici e dei suini bradi e il divieto del pascolo su tutto il territorio nazionale. La Sardegna è quindi sicuramente un esempio da seguire per un’eradicazione della PSA rapida ed efficace, dimostrando un altissimo grado di controllo dell’infezione.
Sarebbe meglio veder protestare contro cause più importanti, come la morte dei bambini, anziché per la soppressione di 10 maiali avvenuta proprio al fine di evitare di infettarne altre decine di migliaia. Il disagio mentale animalista è una piaga sociale, frutto di una società alla deriva, piena di pericolosa ignoranza.