Vi ricordate i Pig Palace cinesi? Gli enormi allevamenti di maiali in Cina di cui si è parlato tanto, suscitando moltissimo scalpore? Ebbene, un mega allevamento di suini di proprietà di investitori danesi, Scandinavia Farms Invest in Cina, dopo dieci anni di attività, è stato dichiarato fallito.
L’epidemia di PSA, la Peste Suina Africana, gli alti prezzi dei mangimi e i bassi prezzi della carne hanno dato il colpo di grazia a questa mega-stalla sviluppata in verticale su più piani, con una capacità di 15.000 scrofe. L’allevamento, spesso preso come esempio negativo dagli animalisti nostrani pur non avendo niente a che fare con le stalle italiane (tranne forse l’elevata efficienza), aveva prodotto 60.000 animali da riproduzione e 360.000 maiali da ingrasso all’anno. Ma dopo una perdita di circa 76 milioni di euro, il fallimento per l’azienda è stato inevitabile.
Sarebbero stati diversi gli errori commessi, a cominciare da sbagli nelle valutazioni da parte degli investitori e condizioni di mercato difficili, che ha visto contemporaneamente un forte aumento del prezzo dei mangimi per animali e quello della carne suina fortemente in ribasso. Anche la pandemia da Covid19 ha avuto il suo impatto sulla redditività dell’azienda, così come l’epidemia di PSA, che ha determinato ad un certo punto l’abbattimento di tutti gli animali, con effetti devastanti.
Già lo scorso anno, molti grandi allevamenti di suini cinesi avevano subito perdite significative a causa del calo dei prezzi dei suini e dell’aumento dei prezzi dei mangimi, facendo decidere al governo cinese di diminuire i capi: da 51 milioni a 49 milioni di scrofe. Ma per l’azienda danese, fondata nel 2012, non c’è stato niente da fare e la perdita per gli investitori è stata in pochi anni di almeno mezzo miliardo di corone danesi, cioè più di 67 milioni di euro.
Ma la Scandinavia Farms Invest non è l’unico esempio di Pig Palace andato in rovina. Sono diversi infatti i mega-allevamenti di suini che hanno i conti in rosso. Come riporta l’agenzia di stampa Reuters, la mandria di suini è stata ampliata tanto da avere causato un calo della domanda; i prezzi dei suini sono in calo e le perdite e i debiti in aumento. Questo ha spinto molti dei principali produttori a ridurre le mandrie di suini, a vendere gli allevamenti o a raccogliere nuovi fondi per superare la crisi. Il governo cinese sta allora cercando di mantenere non più 41 milioni di scrofe riproduttrici, ma 39 milioni, per allineare maggiormente l’offerta alla domanda. Grazie a questo intervento sul numero degli animali e al miglioramento dei prezzi dei mangimi, l’industria dell’allevamento di suini sembra ora in ripresa.
L’anno scorso, la Cina era leader nella produzione globale di carne suina, producendo più di 55 milioni di tonnellate di carne di maiale, cioè la metà della produzione mondiale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti erano invece al secondo e terzo posto lo scorso anno, con il 18% di quota di mercato per l’UE e dell’11% per gli Stati Uniti.
Ribadiamo che in Italia e in Europa non esistono Pig Palace, nonostante i goffi, forzati, patetici tentativi degli attivisti animalisti di far credere il contrario, accostando le nostre realtà produttive a quelle cinesi. In Italia sono in attività poco meno di 30.000 allevamenti di suini e la media di capi per allevamento è di appena 290 maiali.
Altro che mega-allevamenti intensivi cinesi. Siamo lontani anni luce dai loro numeri, così come lo è il livello di controlli sulla (bio)sicurezza ed il benessere animale in Italia. Continuando a criminalizzare la zootecnia italiana, c’è il rischio di far scomparire le nostre realtà virtuose e di dover poi importare la carne proprio dai Pig Palace e affini di Paesi terzi.