Ancora troppo spesso si legge degli allevamenti intensivi come se fossero il male assoluto, fonte di inquinamento, malessere per gli animali e alti impatti sull’ambiente. Gli ultimi articoli arrivano dalla Nazione e da Tag 24, in cui continuano ad essere riportati dati sbagliati, ormai smentiti e corretti da tempo, sulle emissioni di gas serra e di consumo idrico per produrre 1 kg di carne.
Secondo l’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE), l’allevamento intensivo rappresenterebbe un rischio di zoonosi, a causa dell’alta concentrazione di animali in spazi chiusi, senza ricambio di aria, con somministrazione di alti livelli di antibiotici e con enormi sofferenze inflitte agli animali. Dispiace ogni volta dover ripetere sempre le stesse cose, ma di allevamenti in queste condizioni innaturali in Italia e in Europa non se ne vedono più da decenni ormai, perché completamente fuori legge. Anzi, qualora l’ISDE avesse davvero le prove di condizioni di allevamento come descritte, invitiamo a sporgerne denuncia presso le autorità competenti.
È invece alto e costante l’impegno degli allevatori nel garantire ottimali condizioni ambientali al fine di migliorare il benessere degli animali. Perché, ribadiamo, un animale che soffre non produce, e sarebbe una grave perdita economica, che chi alleva non può assolutamente permettersi. Ogni animale ha il suo spazio garantito per legge, con giochi e arricchimenti ambientali che consentono l’esprimersi delle caratteristiche specie-specifiche, al fine di evitare la noia e comportamenti anomali. L’ambiente è luminoso, pulito, ben areato e gli animali hanno accesso a cibo e acqua fresca. Tanto che l’allevamento “intensivo” è risultato anche quello più capace di prevenire proprio le zoonosi, cioè le malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, perché gli animali sono protetti in ambienti confinati, hanno meno occasioni di contatto con i selvatici, vero veicolo di malattie, e meno contatti con l’uomo, perché tutto è automatizzato.
Ribadiamo ancora una volta che è sbagliato continuare a chiamarli “intensivi”, perché oggi questa tipologia di allevamenti si è evoluta rispetto al passato, per cui la terminologia più corretta di definirli è “protetti”, “confinati” o “di precisione”. Grazie allo sviluppo tecnologico e digitale infatti questi allevamenti sono ad alta efficienza e a basso impatto ambientale, perché in grado di ottimizzare l’uso delle risorse, limitando gli sprechi.
Ogni animale, ad esempio, viene alimentato esattamente con la quantità e la qualità di cibo di cui ha bisogno per soddisfare le sue esigenze nella fase produttiva in cui si trova, né di più, né di meno, così come i terreni aziendali per la crescita dei foraggi, fertilizzati coi singoli nutrienti in modo preciso, senza surplus. Inoltre gli allevamenti sono ad economia circolare, cioè un ciclo chiuso dove tutto viene recuperato, e lo scarto diventa risorsa. Per fare un esempio, i liquami o il letame degli animali che altrimenti sarebbero un rifiuto inquinante da smaltire, vengono riciclati e impiegati per produrre fertilizzanti naturali e biogas, che è energia pulita rinnovabile, contribuendo a ridurre significativamente l’impatto sull’ambiente.
La zootecnia inoltre è il settore che più di tutti si è impegnato nella diminuzione dell’uso di antibiotici, raggiungendo percentuali di riduzione di oltre a metà, mentre non si può dire ancora lo stesso per la medicina umana, dove l’abuso e l’uso scorretto è ancora drammaticamente alto, anche se nessuno lo mette mai in evidenza. I controlli in allevamento sono severi e rigorosi, e le ultime analisi dell’EFSA testimoniano l’impegno e il rispetto delle leggi, trovando solo lo 0,1% dei campioni analizzati fuori norma, mentre quelle del PNR, il Piano Nazionale Residui, ancora più basso, con appena lo 0,004% di campioni non conformi.
Ribadiamo ai giornalisti di Tag 24 che è ormai dimostrato che per produrre 1 kg di carne non servono 15.500 litri di acqua, e il consumo di carne di un italiano per un anno emette meno CO2 di un viaggio aereo andata-ritorno Roma-Bruxelles. Inoltre, agricoltura e zootecnia sono gli unici settori in grado di sequestrare carbonio, raffrescando l’atmosfera anziché riscaldarla. Invitiamo ISDE e co. a studiare questi concetti e di smettere di continuare a puntare il dito verso chi rappresenta una soluzione, anziché il problema.