“Il Fatto Alimentare” che difende la carne sintetica: poco giornalismo, molta ideologia

Di recente “Il Fatto Alimentare” ha scritto un articolo in cui si tenta di smontare punto per punto quanto affermato da Coldiretti in un comunicato stampa contro la carne sintetica coltivata in laboratorio. Sono state scritte molte inesattezze su cui ci sentiamo di replicare, al fine di fornire un’informazione corretta e veritiera.

Innanzitutto, la giornalista de “Il Fatto Alimentare” mette in ridicolo l’appellativo “carne Frankenstein” con cui viene indicata la carne sintetica, sostenendo che si tratta di carne al 100%, e che non ha niente a che fare con il famoso umanoide assemblato con parti diverse. Inoltre, viene dato per totalmente falso anche il fatto che possano svilupparsi cellule cancerose durante la proliferazione cellulare. Che si possano generare cellule cancerogene è invece un’ipotesi reale, seppur remota, a causa della grande velocità di proliferazione delle cellule staminali totipotenti. Quindi sminuire questo concetto come una totale assurdità denota subito poca serietà nell’affrontare l’argomento, che necessita di approfondimenti scientifici.

Inoltre, non si tratta di carne naturale al 100% come affermato da “Il Fatto Alimentare”, ma di semplici fasci muscolari che necessiteranno di essere insaporiti con altri ingredienti, come burro, pangrattato, sale ecc. per poter assomigliare ad una polpetta. La carne è tutt’altro: è fatta di ossa, grasso, cartilagini, nutrienti presenti naturalmente che è impossibile da riprodurre nella carne sintetica, se non addizionandoli in modo artificiale. La carne prodotta in laboratorio sarà infatti carente di vitamina B12, ferro e micronutrienti specifici della carne vera, in quanto non esiste nessuna tecnologia in grado di riprodurne fedelmente il contenuto nutrizionale. Insomma, di carne al 100%, come viene fatto credere, non c’è proprio niente.

Nell’articolo de “Il Fatto Alimentare” si afferma poi che “gli associati a Coldiretti fanno un uso più che generoso di prodotti chimici nelle loro coltivazioni e nei loro allevamenti, compresi antibiotici e fitofarmaci”. Sull’uso “più che generoso” di antibiotici ci sentiamo di dissentire, in quanto la zootecnia è stato il settore che ha fatto di più per ridurre l’impiego di antibiotici e combattere la piaga dell’antibiotico-resistenza, ottenendo percentuali di riduzione dal 47 all’82%. Gli sforzi per ridurli ulteriormente fino alla loro totale eliminazione portano miglioramenti costanti, mentre non si può dire altrettanto in medicina umana, dove l’abuso e l’utilizzo sbagliato di antibiotici è drammaticamente ancora troppo alto.

Utile inoltre sottolineare che, secondo la recente pubblicazione di ESVAC, la strategia Farm to Fork prevede una riduzione del 50% delle vendite di antimicrobici per animali d’allevamento e in acquacoltura entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento 2018. Nel 2021, le vendite aggregate per i 27 Stati membri dell’UE hanno già raggiunto circa un terzo dell’obiettivo di riduzione del 50% fissato per il 2030.

Il Fatto Alimentare” sostiene con forza anche che il calcolo dell’impatto ambientale della produzione di carne sintetica sia più basso di quello della carne tradizionale negli allevamenti. Non è così, in quanto sono ancora pochi e poco accurati gli studi che possano mostrare senza dubbio che la carne sintetica sia davvero meno impattante. La questione è molto complessa e sono tanti i fattori da valutare. Indubbiamente, se la coltivazione di carne sintetica in laboratorio continuerà a basarsi su fonti fossili anziché rinnovabili, la sua produzione nel lungo periodo sarà più impattante in termini di emissioni di CO2, perché i bioreattori in cui proliferano le cellule sono molto energivori.

Inoltre la frase sbandierata da “Il Fatto Alimentare” che “non esistono deiezioni”, non è per nulla positiva, perché dalle deiezioni degli animali si ricava il fertilizzante naturale per i terreni. Quindi l’assenza di deiezioni comporterà un più alto impiego di fertilizzanti chimici e fitofarmaci, con un maggior inquinamento e impatto ambientale. Ricordiamo anche che dalle deiezioni si ricava il biogas, una fonte di energia rinnovabile che permette non solo a tante aziende agricole di autoalimentarsi e produrre in perfetta economia circolare, ma è anche un’opportunità per poter ottenere la tanto desiderata indipendenza energetica.

Ultimamente si parla tanto anche di “carbon farming”, cioè la possibilità delle aziende agricole di sequestrare il carbonio dall’atmosfera e di produrre in neutralità climatica, con un impatto ambientale pari a zero. Forse sarebbe meglio informarsi su tutti questi argomenti in modo approfondito, prima di avere la pretesa di scrivere un articolo per “smontare” quanto sostenuto da Coldiretti.

Soprattutto quando si afferma che “Le battaglie fatte per impedire che anche i burger vegetali fossero chiamati così, come la campagna Ceci n’est pas une steak, sono state tutte perse”, si percepisce un sottile piacere nel definire “persa” la battaglia contro il Meat Sounding, una presa in giro bella e buona ai danni del consumatore. Ci si sta battendo da anni per tutelare il consumatore da etichette ingannevoli ed è molto strano e triste che la giornalista de “Il Fatto Alimentare” non lo capisca.

Alle domande “Coldiretti ha soluzioni per fornire proteine a 8 miliardi di esseri viventi, o per annullare gli effetti della crisi climatica mantenendo gli allevamenti?”. Sì, la soluzione c’è. Ma sembra che si voglia invece continuare a demonizzare gli allevamenti, ignorando completamente che oggi è possibile produrre carne in modo sostenibile, in perfetto equilibrio e in armonia con la natura circostante. Non è una questione di “punti di vista”, come sostenuto in conclusione dal sito diretto da Roberto La Pira, ma di realtà e sono tanti gli esempi di aziende virtuose.

L’allevamento può essere positivo per l’ambiente e può essere parte della soluzione nel risolvere il cambiamento climatico, grazie al carbon farming, all’agricoltura rigenerativa, digitale e di precisione, che rendono gli allevamenti sempre più efficienti e sostenibili.

Emerge invece una inspiegabile presa di posizione in forte difesa della produzione di cibo artificiale, su cui in realtà sappiamo ancora troppo poco: non sappiamo quale sarà il suo reale impatto sull’ambiente, né sulla nostra salute, per cui l’articolo de “Il Fatto Alimentare” fa sorgere parecchi dubbi e perplessità sulla sua buona fede. E tutto diventa subito più chiaro quando in chiusura vengono ringraziate le associazioni animaliste Animal Equality Italia, Animal Law Italia, CIWF Italia, Essere Animali, LAV e LNDC Animal Protection… A buon intenditor poche parole.

Qui sotto, intanto, le foto dal sito di Arpat Toscana della Pianura Padana prima e durante il lockdown 2020, quando erano attive solo le produzioni zootecniche e ferme quasi tutte quelle industriali (ed i trasporti). Così, giusto per dare un’idea di chi sono i veri “inquinatori”. E per ricordare a “Il Fatto Alimentare” che in questo suo articolo c’è poco giornalismo, e molta ideologia.

Share:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp