La mattanza degli allevamenti suinicoli italiani: ora meno di 100mila

Sono sempre meno gli allevamenti suinicoli in Italia, ora scesi sotto la soglia psicologica dei 100mila. E con tutti i problemi da affrontare, ci si chiede come i Consorzi di tutela DOP pensano di preservare la sostenibilità economica degli allevamenti rimasti.

Crollano il numero di allevamenti e si concentrano i suini: i nuovi dati CLAL fotografano un fenomeno impressionante, che Assosuini ha denunciato per anni. Con un calo dell’8,3% in sei mesi (nel periodo da giugno 2023 a dicembre 2023), il numero totale degli allevamenti di suini in Italia scende sotto la soglia psicologica dei 100.000 e passa da 106.124 a 97.331. È in particolare il Nord-Est a registrare un calo considerevole degli allevamenti, con dati sconcertanti (-16,54% il Veneto e -18,55% il Friuli Venezia Giulia), così come Calabria (-52,88%), Valle d’Aosta (-27,66%) e Puglia (-17,80%). In diminuzione anche il numero dei suini, ma in maniera più contenuta (solo del -2,25%), che a dicembre dello scorso anno è calato a 8.161.676 unità.

La Lombardia, con solo il 6% degli allevamenti in Italia (-4,2%), produce il 48% dei maiali (3.945.953), ha visto un calo di poco superiore al 3% e si conferma la prima Regione suinicola a livello nazionale. Seguono Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia, a conferma della marcata concentrazione dei capi nel Nord Italia. Queste quattro Regioni, insieme alla Lombardia, sommano 18.660 allevamenti (pari al 19% del totale nazionale) e l’88% dei suini sul totale nazionale.

Relativamente al numero di animali allevati, Abruzzo e Basilicata registrano le maggiori frenate, rispettivamente -8,87% e -4,73%, con la Basilicata che però raddoppia il numero di allevamenti, che passano da 705 di Giugno 2023 a 1.460 di Dicembre 2023 (+107%). I dati sono la rappresentazione plastica di una tendenza alla diminuzione delle aziende e alla concentrazione della mandria, fenomeno comune anche ad altri indirizzi zootecnici e ad altri Paesi dell’Unione Europea.

I motivi sono molti, tra i quali la scarsa attrattività del settore agricolo per i giovani (nell’UE, solo un Agricoltore su cinque ha meno di 45 anni e meno dell’1% degli agricoltori europei è sotto i 25 anni), la scarsa competitività delle imprese, la difficoltà di accesso al credito e una burocrazia asfissiante, che scoraggia il piccolo allevamento e incentiva i grandi numeri, oltre a dei disciplinari dei Consorzi sempre più restrittivi. Per non parlare dell’arrivo della PSA, la Peste Suina Africana, che ha aggravato la situazione, portando sempre più realtà alla chiusura.

Ci si aspetta che i numeri crescano soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Specialmente per la recente presenza della PSA in provincia di Parma, zona ad alta vocazione suinicola e col maggior numero di prosciuttifici, che minaccia la produzione e la chiusura dell’export del Made in Italy. Alcuni mercati come Cina, Giappone, Thailandia, Messico e Serbia hanno infatti già chiuso le frontiere all’importazione di carne italiana.

Il settore vede davanti a sé anni molto duri, e a livello politico ed imprenditoriale si sta facendo troppo poco per arginare il problema. Si sente l’urgenza di una soluzione radicale, con piani di eradicazione dei cinghiali attraverso l’intervento dei cacciatori e dell’esercito, come hanno fatto anche altri Stati, che hanno messo in atto manovre immediate con recinzioni e abbattimenti. Le istituzioni non devono venir meno ai propri doveri e se non si interviene tempestivamente, le conseguenze economiche e quindi sociali saranno disastrose, infliggendo il colpo di grazia all’intero settore. E al tanto millantato Made in Italy, per cui si organizzano Giornate nazionali, proprio mentre se ne scava la fossa.

In conclusione, una richiesta ai Presidenti dei due principali Consorzi di Tutela DOP, quello del prosciutto di Parma e quello del prosciutto San Daniele: visto che la stragrande maggioranza degli allevatori italiani di suini produce per “loro”, e vista la situazione con la PSA, quali sono i loro programmi per dare una sostenibilità economica alla filiera?

In attesa di una risposta, continuiamo a lavorare. Con le dita incrociate!

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