Le vere origini delle micro-polveri e strategie per ridurle

Le vere origini delle emissioni di particolato e micro-polveri non sono da ricercare negli allevamenti, ma nel settore di industria e trasporti.

Le foto dal sito di Arpat Toscana parlano chiaro. Le immagini della Pianura Padana prima e durante il lockdown 2020, quando erano attive solo le produzioni zootecniche e fermi quasi tutte le industrie e i trasporti, mostrano con chiarezza le vere origini delle emissioni di particolato e micro-polveri.

Nel 2020, il crollo del traffico dovuto alle restrizioni alla mobilità e alla chiusura delle attività a causa della pandemia, hanno fatto scendere le emissioni del 9,8% rispetto al 2019, secondo i calcoli dell’ISPRA. C’è stata una contrazione della domanda di energia elettrica (-12,6%), una riduzione dei consumi energetici nel settore industriale (-9,9%) e nei trasporti (-16,8%), mentre non si sono mai fermati il settore agricolo e zootecnico, con i nostri allevamenti a pieno regime per continuare a garantire il cibo e rifornimenti sugli scaffali dei supermercati alle famiglie italiane.

Il drastico calo dei gas serra, dovuto alla riduzione delle attività industriali e del traffico, dimostra quanto questi settori incidano più di altri sulle emissioni climalteranti ed inquinanti. Questi dati e il netto miglioramento della qualità dell’aria con il calo significativo del biossido d’azoto durante il lockdown, devono essere utili per capire dove insistere e intervenire con misure al fine della riduzione dei gas serra nell’ambiente. La zootecnia continua a dimostrarsi un settore risolutivo che ha compiuto enormi passi avanti verso la sostenibilità, arrivando a pesare appena il 5,2% sul totale delle emissioni di CO2.

Le strategie per ridurre le emissioni sono tantissime e una di queste nell’allevamento suinicolo è l’interramento dei liquami. La fase di emissione allo spandimento è infatti molto bassa, vicina a zero, se la pratica viene eseguita secondo la norma con immediato interramento del refluo. Le deiezioni suine vengono veicolate nella maggior parte degli allevamenti a mezzo liquido e con additivi acidificanti che riducono la volatilizzazione dei composti da vasche e campi, rendendola praticamente nulla. Nel periodo di 4 mesi, da novembre 2019 a febbraio 2020, è stato emesso poco meno del 21% dell’ammonica che si produce in un anno in un allevamento, confermando l’interramento come strumento efficace per abbattere le emissioni del comparto zootecnico.

Questo dimostra anche come gli allevamenti non hanno contribuito agli aumenti osservati di PM10 nei mesi coincidenti con la prima diffusione del Covid-19, il particolato atmosferico che arriva dai gas di scarico degli autoveicoli, degli impianti industriali e delle emissioni portuali. L’interramento subito dopo la distribuzione ha anche utilità per conservare l’azoto contenuto nei reflui e nel ridurre gli odori che derivano dagli allevamenti, problema che contribuisce a creare ostilità nella società, anche da parte di persone che non hanno una preclusione verso l’allevamento.

In Veneto, ad esempio, ci sono scrofaie che vanno su biofiltro, un sistema biologico semplice e performante per l’eliminazione degli inquinanti organici e dei cattivi odori dagli effluenti dell’allevamento. Si tratta di materiale organico vegetale, come rami, radici, tronchi triturati, cortecce o torba con caratteristiche adatte a supportare i batteri che degradano i composti odorigeni, consentendo di emettere in atmosfera aria con ridotte concentrazioni di odori. L’interramento non è sempre applicabile in tutte le situazioni, ma è uno spunto di riflessione per il settore, poiché se è vero che la responsabilità dell’allevamento suinicolo riguardo alle emissioni è limitata, bisogna comunque ingegnarsi nel trovare nuovi strumenti e strategie per fare sempre meglio.

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