Pianura Padana: non sono gli allevamenti i colpevoli dello smog

Nonostante le fake news sui picchi di emissioni diffuse come al solito da Greenpeace e loro megafoni, agricoltura e zootecnia sono i settori che emettono meno, e gli unici in grado di assorbire carbonio.

Basta fake news green! Nonostante i dati parlino chiaro, Greenpeace e compagnia cantante continuano in malafede a diffondere dati sballati sulle emissioni in agricoltura, allo scopo di far credere ancora che siano gli allevamenti intensivi della Pianura Padana a causare i picchi di emissioni a Milano, dimenticando completamente trasporti, industrie e sabbie desertiche. È di questi giorni infatti la notizia del picco di smog a Milano, soprattutto a causa delle sabbie sahariane che stanno sorvolando l’Europa, facendo diventare l’aria opaca e color duna, caricandola di polveri desertiche finissime di 100-150 microgrammi in media, sommate agli inquinanti di fumi e traffico. La notizia però è stata fortemente esagerata, in quanto in realtà le contaminazioni, benché alte, sono lontane dai pessimi primati di qualche anno fa, che vedevano valori oltre i 300 microgrammi. La qualità dell’aria è migliore anche rispetto a molte altre città in Europa, tra cui spicca ad esempio Kozani in Grecia con 442 microgrammi, per non parlare a livello mondiale, con il primato di 1.482 microgrammi di Hotan in Cina.

Nonostante anche l’Arpa riveli che la qualità dell’aria sia migliorata, la notizia ha dato subito modo a Greenpeace di approfittarne con la sua propaganda contro gli allevamenti, diffondendo dati non veritieri. Infatti, diversamente da quanto dichiarato dalla ONG ambientalista, dal report annuale ISPRA 2023Italian Emission Inventory 1990 – 2021. Informative Inventory Report 2023”, risulta per il 2021 un quadro confortante, con l’agricoltura che ha contribuito in modo significativo ad una migliore qualità dell’aria. Il report mostra che le emissioni PM2,5 di tutta l’agricoltura, che sono le più pericolose, rappresentano solo il 3,6% e quelle PM10 l’11,6%. Nel complesso, l’agricoltura diffusa su tutto il territorio nazionale, perciò un’area vasta, è responsabile di meno dell’8% delle emissioni di polveri sottili, in diminuzione costante dal 1990, e meno del 5% di quelle PM2,5. Mentre trasporti, riscaldamento domestico concentrato nelle aree urbane e attività industriali sono responsabili del restante 92%, con il dato drammaticamente in continua crescita.

L’ammontare complessivo del particolato PM10 sommato al PM2,5 emesso da fonti agricole è sceso del 28,5% dal 1990 al 2021, mentre il riscaldamento domestico, principale fonte di particolato, è aumentato del 44% nel 2021 a causa soprattutto della diffusione del riscaldamento a pellet di legna. Anche le emissioni globali di ammoniaca sono calate del 24% dal 1990 con una riduzione costante e lineare di circa 4.000 t/anno nel periodo considerato (1990-2021). Le emissioni di particolato quindi, non sono colpa dell’agricoltura e men che meno della zootecnia.

Ne avevamo avuto evidenza già in tempi di lockdown nel 2020, a causa della pandemia da Covid. Le foto dal sito di Arpat Toscana mostrano la Pianura Padana prima e durante il lockdown, quando erano attive solo le produzioni zootecniche, mentre quasi tutte le industrie e i trasporti erano fermi. Le immagini mostrano con chiarezza le vere origini delle emissioni di particolato e micro-polveri, in quanto il crollo del traffico, dovuto alle restrizioni della mobilità e alla chiusura delle attività, ha fatto scendere le emissioni del 9,8% rispetto al 2019, mentre non si sono mai fermati il settore agricolo e zootecnico, con gli allevamenti a pieno regime per continuare a garantire rifornimenti di cibo sugli scaffali dei supermercati in quel periodo così critico.

Questi dati e il netto miglioramento della qualità dell’aria con il calo significativo del biossido d’azoto durante il lockdown sono un’ulteriore dimostrazione di come gli allevamenti non abbiano contribuito agli aumenti osservati di PM10 nei mesi coincidenti con la prima diffusione del Covid e come invece il particolato atmosferico arrivi dai gas di scarico degli autoveicoli, degli impianti industriali e delle emissioni portuali. Sono questi i settori che incidono più di altri sulle emissioni climalteranti ed inquinanti, ed è su questi che bisogna intervenire al fine della riduzione dei gas serra in atmosfera.

Non va dimenticato invece che l’agricoltura e la zootecnia contribuiscono primariamente alla produzione di ossigeno e alla cattura e stoccaggio di carbonio (unici settori produttivi a farlo), e forniscono servizi ecosistemici di abbattimento delle polveri sottili e della rimozione degli inquinanti emessi dagli altri settori. Per questo, quando si parla di zootecnia, non si deve parlare di sole emissioni climalteranti, ma di bilancio fra queste e sequestro di carbonio da parte degli agroecosistemi. Essendo le emissioni compensate dai riassorbimenti, il settore agricolo pesa sull’inquinamento europeo solo il 4,6% del totale, e il bilancio può diventare addirittura negativo, come spiegano (si direbbe inutilmente) da anni il Professor Giuseppe Pulina e il suo team di ricercatori presso l’Università di Sassari: “Agricoltura e zootecnia non sono i settori che creano disequilibrio, ma aiutano gli altri settori produttivi a ridurre le emissioni di gas a effetto serra.”

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