La Peste Suina Africana continua inarrestabile la sua corsa. La situazione era già allarmante quando era circoscritta a poche regioni, come Sardegna, Piemonte, Liguria e a nord di Roma. Adesso l’infezione si è allargata anche alla Calabria, Campania, e soprattutto Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni a più alta vocazione suinicola. Le conseguenze di una tale espansione del virus possono diventare drammatiche, con la sparizione dei nostri prodotti d’eccellenza e la fine delle esportazioni di carne suina e di insaccati DOP. La Cina ha già chiuso all’import di carne suina dall’Italia, causando danni economici importanti ad una filiera che ha un valore di oltre 10 miliardi di euro, 40 mila posti di lavoro e 2 miliardi di export.
Per questo, lo scorso anno dall’Onorevole Matteo Richetti, e quest’anno dall’Onorevole Fabrizio Benzoni, entrambi di Azione, sono state presentate ben due interrogazioni parlamentari per informare il Parlamento su ciò che sta accadendo riguardo a questa epidemia così pericolosa per il Made in Italy. Dai territori infatti, arrivano dati inquietanti di sprechi di denaro, quantificabili in milioni di euro, legati a recinzioni troppo blande, facili da superare da parte dei cinghiali, con strutture incapaci di fermare gli spostamenti dei selvatici in territori acclivi e a fondo roccioso, dove è impossibile installare barriere fisiche capaci di fermare i movimenti di questi animali così possenti. Si chiede quindi quante risorse siano state messe dal governo per combattere la PSA e quale soluzione tecnica più efficace si pensa di adottare nei territori montani, in alternativa a un intervento così dispendioso e inefficace.
Nonostante siano passati molti mesi dall’inizio dell’emergenza, dai territori arrivano notizie di ASL non ancora pronte e inadeguatea coordinare i piani di abbattimento, a causa della carenza di veterinari per adempiere ai necessari protocolli di bio-sicurezza. Belgio, Lussemburgo e Francia sono invece riusciti a sconfiggere la PSA, perché hanno applicato alla lettera i protocolli europei. Se è vero che è estremamente complesso recintare territori montagnosi come quelli liguri, è altrettanto vero che si poteva fare la scelta di recintare la parte pianeggiante fra Liguria e Lombardia. A quest’ora non avremmo avuto la PSA a Pavia. Si chiede dunque quante siano le risorse umane messe in campo, quanti veterinari sarebbero necessari per accelerare il piano di abbattimento al fine di rallentare davvero la diffusione del virus e perché non sono state prese le debite precauzioni.
Viene poi fatto riferimento al ruolo determinante dei cacciatori, che conoscono più di tutti i propri territori e se adeguatamente formati come “bioregolatori” costituiscono una risorsa preziosa per lottare contro l’epidemia. Nelle Regioni colpite, il settore venatorio sta svolgendo una funzione di interesse pubblico, ma a causa di aspetti legati all’etica venatoria fortemente radicati tra chi pratica il prelievo del cinghiale, il fatto di non poter consumare le carni degli animali sani abbattuti nella Zona di Restrizioni 2, sta facendo desistere dall’attività di depopolamento, depotenziando di fatto la capacità di abbattimento delle squadre di caccia e quindi l’efficacia del depopolamento stesso.
Non si deve peraltro dimenticare che, fino a prova contraria, nessun suino in Zona di restrizione 1 o 2 è contaminato. Pertanto, ci sarebbe da discutere delle procedure previste per questi capi. In ogni caso, si invita il governo a considerare, all’interno della Zona di restrizione 2 ove la presenza del virus è già stata accertata, la possibilità di far auto-consumare gli animali risultati sani a seguito delle analisi di laboratorio previa completa cottura delle carni. Inoltre, al fine di rendere efficace il depopolamento, possono essere valutati incentivi economici da erogare per ogni cinghiale abbattuto, come già accade in alcune realtà colpite dal virus.
Si rende necessario continuare a mettere in sicurezza gli allevamenti di suini attraverso le recinzioni antiintrusioni, per scongiurare il contatto fra suidi selvatici e di allevamento. Questo sforzo non può essere a carico solo ed esclusivamente dei suinicoltori italiani, per questo ci si interroga su cosa stia facendo il governo al riguardo. Questo anche in considerazione del fatto che ogni sforzo e investimento è vano nel caso di presenza di un cinghiale positivo nelle zone adiacenti l’azienda.
Come per la Xylella, se si fosse agito in fretta, la situazione sanitaria non sarebbe scappata di mano, cosa che invece rischia oggi di accadere anche nel caso della Peste Suina Africana, mettendo a rischio una filiera di eccellenza. Come commenta anche Caterina Avanza, Responsabile per l’Agricoltura di Azione e Consigliera politica al Parlamento europeo nel gruppo Renew Europe: “Da più di un anno, Azione sta cercando di spronare il governo a occuparsi della situazione della Peste Suina Africana, che è andata completamente fuori controllo. La filiera è estremamente preoccupata, in particolare in Lombardia ed Emilia-Romagna, dove c’è la più grossa concentrazione di allevamenti di suini. C’è anche molta inquietudine in Europa, perché i Paesi come il Belgio, Lussemburgo e la Francia, che sono riusciti a debellare l’infezione, guardano con grande preoccupazione all’inazione dell’Italia, e questa è una situazione che fragilizza sia il settore suinicolo che l’immagine del Made in Italy.”
L’export di salumi dall’Italia che si aggira intorno ai due miliardi euro è fortemente a rischio, con tutte le conseguenze commerciali e di stabilità socio-economica che ne derivano. Speriamo che una risposta non si faccia troppo attendere, come successo finora, perché il tempo è scaduto.