Quanti farmaci si danno ai suini? È vero che li si danno per farli crescere di più? Sono domande che vengono fatte spesso a chi lavora nel settore zootecnico, ma che spesso si basano su supposizioni che oggi non hanno alcun fondamento, basandosi su una visione ormai superata. Infatti, l’utilizzo dei farmaci come promotori di crescita o dati agli animali per prevenire le malattie è stato bandito da quasi due decenni. Tutto il settore rispetta rigorosamente le regole sulla somministrazione di farmaci, che oggi è possibile solo per la terapia, cioè per la cura.
La somministrazione di farmaci è prevista solo quando necessario e serve chiaramente per curare gli animali quando si ammalano. Perché si parla di animali, appunto, e non di macchine. Come noi, essi vengono curati, vengono vaccinati, perché come succede a noi, si possono ammalare. E quando si ammalano, si devono poter medicare. È una questione di salute e di benessere animale. La prescrizione dei farmaci avviene solo tramite il medico veterinario responsabile dell’allevamento, che emette delle ricette mediche per i farmaci e per i mangimi medicati. Tutti i veterinari sono iscritti ad un Albo, così come i nostri medici.
A questo devono essere aggiunti due dettagli importanti. Il primo è che, a differenza di ciò che avviene in altri Paesi (anche europei), il veterinario che prescrive un farmaco non può anche venderlo. Il secondo, è che nel settore zootecnico italiano è stato implementato da anni dal Ministero della Salute l’uso esclusivo della ricetta elettronica veterinaria, operativa già dal 2019. Questo sistema garantisce il tracciamento incrociato delle quantità di farmaco utilizzato, permettendo agli enti di controllo una sorveglianza capillare su tutto il territorio nazionale e la rilevazione in tempo reale di eventuali anomalie riscontrate per ciascun allevamento e addirittura per ogni capo.
Basti pensare che, nel 2021, nell’ambito del Piano Nazionale Residui, su 30.263 accertamenti con analisi che riguardano più di 466mila diverse sostanze, sia ad attività farmacologica sia inquinanti ambientali, i campioni che hanno fornito risultati irregolari per la presenza di residui sono stati, in tutto, appena lo 0,4 per mille del totale, praticamente nulla – e per di più si è trattato di inquinanti ambientali.
Grazie alla ricetta elettronica finalmente sappiamo la quantità di farmaco effettivamente somministrata e non solo quella venduta, oltre a rivelare che la maggior parte di antibiotici vengono somministrati ai pet, cioè ai nostri animali da compagnia e non a quelli da allevamento. Infatti, degli oltre 7 milioni di ricette veterinarie del 2021, l’85% è stato emesso per i nostri amici a quattro zampe, non per quelli da reddito (o da allevamento). È emerso dunque il forte divario fra il numero di ricette destinate agli animali da reddito (circa 4 milioni) rispetto a quelle per gli animali da affezione (34 milioni).
Il settore zootecnico è quello che ha fatto di più nella riduzione dei farmaci, mentre non si può dire lo stesso in medicina umana, dove se ne riscontra ancora un abuso, fin dall’età pediatrica. Grazie all’aumento del benessere animale in allevamento e al ricorso alle vaccinazioni, si parla di una riduzione dell’impiego di antibiotici in zootecnia del 53% a livello generale e del 62% nel caso dell’Italia.
Questa gestione con la ricetta elettronica non è in essere nemmeno per il settore della salute umana, dove è stata sì introdotta, ma non è obbligatoria. La sensibilità del nostro settore rispetto al benessere animale e alla sicurezza alimentare ha ancora una volta giocato d’anticipo. Alla faccia delle dicerie e delle fake news sulla sicurezza e le condizioni degli animali nei cosiddetti “allevamenti intensivi”.