Record (e rischi) per le esportazioni agroalimentari italiane

Buone notizie per le esportazioni del Made in Italy. Con un bel +20% è record storico per l’export agroalimentare italiano nel 2022. È quanto segnalano gli ultimi dati Istat sulle esportazioni relativi al primo trimestre del 2022. Continuano però a preoccupare le conseguenze della guerra in Ucraina, con i rincari energetici e soprattutto delle materie prime che stanno colpendo i consumi e le filiere a livello globale.

Le esportazioni alimentari nazionali sono in aumento sul record annuale di 52 miliardi registrato nel 2021, con la Germania che è il principale mercato di sbocco, in aumento nel trimestre del 9%, davanti alla Francia, in salita del 17%. Gli Stati Uniti invece si classificano al terzo posto, con un tasso di crescita del 21%. Il Regno Unito vede un vero boom, con un +29%, evidenziando come l’export tricolore si sia rivelato più forte della Brexit, una volta superate le difficoltà iniziali che l’uscita dall’UE ha comportato.

Negativo invece il dato cinese, con calo del 18%, mentre quello per la Russia indica un +4%, sul quale però sono destinate a pesare la guerra in Ucraina e le sanzioni. Nel solo mese di marzo infatti, le vendite di cibo italiano in Russia sono crollate del 35%. Vanno forte all’estero le vendite dei prodotti tipici della dieta mediterranea, come il vino, che è sul podio con una crescita del 18%, ma anche pasta, formaggi, olio d’oliva e salumi. Resta però da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti, come quello della carne, dei cereali e delle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti.

“E’ un risultato importante per l’export dell’agroalimentare italiano in questo primo trimestre, ma bisogna leggere un po’ meglio i numeri, specialmente per quanto riguarda i salumi”, commenta il presidente di Assosuini, Elio Martinelli: “La filiera suinicola è ancora indietro rispetto alle sue potenzialità e l’aumento che c’è stato è dovuto ad un aumento dei prezzi, più che di grandi quantità.”

C’è ancora tanta strada da fare, insomma, soprattutto “se pensiamo che oggi la quota export del nostro prodotto principe, il famoso prosciutto di Parma, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, è solo il 30% – puntualizza Martinelli – Mentre un prodotto del genere meriterebbe almeno il doppio. Bisogna organizzarsi molto meglio di come facciamo oggi. Ci vuole un’organizzazione veramente completa che ancora non esiste. Quindi manca un progetto vero per l’export, che resta la maggiore opportunità per il made in Italy. Ecco perché il governo dovrebbe convocare al più presto un tavolo di confronto, in modo da capire gli obiettivi della salumeria italiana e organizzarsi di conseguenza.”

Essendo l’export la nostra maggiore opportunità, aggiunge il presidente di Assosuini, non dimentichiamo la spada di Damocle della Peste Suina Africana (PSA): “Se non viene gestita al meglio ed arginata, può rappresentare la fine dell’export della salumeria made in Italy. Invitiamo quindi ancora una volta l’intera filiera a premere sulle organizzazioni pubbliche per gestire nel migliore dei modi questa emergenza, perché siamo troppo a rischio”, sottolinea Martinelli: “Un singolo caso positivo in una regione tipica significherebbe l’interruzione delle esportazioni per più di un anno. In altre parole, la fine del settore”.

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