Peste suina africana (PSA): ecco come arginarla

La Peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali che è comparsa ultimamente nella Repubblica Dominicana, mettendo in allerta non solo i Paesi del continente latinoamericano, ma anche Europa, Asia e Africa dove l’epidemia si sta diffondendo. Se da una parte la PSA è altamente contagiosa e spesso letale per gli animali, dall’altra il consumatore può stare tranquillo, in quanto la malattia non è trasmissibile agli esseri umani che però sono portatori con abbigliamento e attrezzature. Il virus poi rimane infettante entro un ampio range di pH (4-10) cosa che gli consente di rimanere attivo nelle carni non cotte per settimane e mesi. L’acidificazione delle carni non ha infatti alcuna influenza sul virus se il pH non scende sotto a 4. Pertanto, il virus persiste per diversi mesi nell’ambiente. La stessa stagionatura o affumicatura dei salumi non sono sempre efficaci nell’eliminarlo.

Tuttavia è necessario mettere in pratica una serie di azioni per arginarla, poiché le sue conseguenze sono causa di pesanti ripercussioni socio-economiche nei Paesi colpiti. Ecco quindi un piccolo vademecum di Assosuini per gli allevatori per contrastare il diffondersi questa epidemia.

Innanzitutto, conoscere le diverse vie di trasmissione e diagnosticarne tempestivamente i sintomi sono i primi passi fondamentali per mettere a punto un piano di controllo per evitarne il contagio e la diffusione. Bisogna però tenere conto del fatto che i segni clinici della PSA sono variabili e non  sempre riconoscibili. Bisogna dunque sapere che la malattia può essere trasmessa ai suini in diversi modi:

  • contatto con animali infetti, sia vivi (acquistati nelle zone colpite) che morti, compreso il contatto tra suini che pascolano all’aperto e cinghiali selvatici;
  • contatto con qualsiasi oggetto contaminato dal virus, come abbigliamento, scarpe, veicoli e altre attrezzature. È pertanto necessario che i cacciatori non abbiano contatti con i suini dopo avere cacciato.
  • per ingestione di acqua o cibo contaminati;
  • per via aerea su brevi distanze;
  • morsi di zecche infette
  • alimentazione con scarti di cucina (vietata in Europa dal 1980)

I sintomi tipici della sua presenza nei suini includono febbre, perdita di appetito, debolezza e riluttanza a stare in piedi, vomito, diarrea spesso con sangue, pelle di colore rosso-blu in particolare attorno alle orecchie e al muso, tosse e difficoltà di respirazione, aborti spontanei, prole nata morta e debole, emorragie interne con emorragie evidenti su orecchie e fianchi, fino anche al verificarsi della morte improvvisa dell’animale entro 10 giorni. Qualora si presentino questi sintomi è necessario informare immediatamente il veterinario al fine di verificare il sospetto di epizoozia. Il virus è relativamente resistente, per questo può diffondersi molto rapidamente, riuscendo a sopravvivere a temperatura ambiente fino 18 mesi, nel suolo o nelle feci animali per 5-6 mesi e tra 10 e 30 giorni a 37°C.

Il controllo della malattia deve avere un approccio integrato: sociale (caccia, informazione, tradizioni, consumo), ambientale/zootecnico (tipologie di allevamento, ambiente, biosicurezza), scientifico/tecnologico/ricerca (epidemiologia, diagnosi, vaccino).

Pertanto, devono essere messe in atto azioni coordinate tra allevatori, cacciatori, parti interessate e servizi ufficiali dove la biosicurezza è la chiave del successo. Fondamentale è anche la vigilanza dei confini esterni la UE con il controllo dei bagagli personali, delle merci, ecc…

Diversi sono gli strumenti messi in campo dalla UE per supportare il controllo della malattia:

  • EUVET (Assistenza per le emergenze veterinarie della UE)
  • Assistenza tecnica: missioni della task force per il monitoraggio dell’eradicazione delle malattie (sottogruppo PSA)
  • Audit tecnici della Commissione
  • Opinioni e rapporti EFSA

Ogni allevatore deve fare la sua parte per proteggere i propri animali e la propria impresa agricola, attraverso il monitoraggio continuo degli animali e controllando tutti gli accessi in azienda. È fondamentale attivare le procedure di biosicurezza, garantendo un’adeguata pulizia e disinfezione di tutti gli ambienti, delle attrezzature utilizzate e del personale in allevamento. Ad esempio, deve essere prestata particolate attenzione alle ruote di tutti i veicoli, siano essi camion, furgoni, fornitori di mangimi, dipendenti o auto dei visitatori che accedono all’allevamento.

Tutti devono essere puliti e successivamente disinfettati ogni volta che entrano o escono dal sito, cercando comunque di limitare gli accessi e consentire solo quelli strettamente necessari. È fondamentale potenziare le recinzioni per evitare il contatto con i selvatici e formare il personale sulle procedure di protezione, prevenzione, pulizia, disinfezione e disinfestazione.

Dal momento che la PSA è un’epizoozia altamente contagiosa, vige l’obbligo di notifica per tutti coloro che detengono, accudiscono o trattano animali. I casi sospetti devono essere immediatamente notificati al veterinario. Purtroppo non esiste ancora un vaccino contro la PSA, ma gli allevatori di suini possono ridurne notevolmente il rischio rispettando le semplici misure di biosicurezza menzionate.

Le strategie da mettere in campo per prevenire l’introduzione dell’infezione sono diverse:

1. rafforzamento sorveglianza passiva: individuazione precoce di possibili casi nei cinghiali à test diagnostico su tutti i cinghiali rinvenuti morti (anche a seguito di incidente stradale) o abbattuti in condizioni particolari (ad es. capi scarsamente reattivi abbattuti in prossimità di fondi agricoli o centri abitati);

2. campagna di informazione e sensibilizzazione per eliminare o limitare i comportamenti a rischio à possibili conseguenze economiche e sociali; coinvolgimento di tutte le categorie di persone che frequentano luoghi popolati da cinghiali, supporto di: ASL, forze dell’ordine (es. carabinieri forestali), associazioni di categoria;

3. piano di formazione specifica (incluse l’elaborazione di linee guida e materiale formativo) a cacciatori, forze dell’ordine e tutte le categorie cruciali in termini di prevenzione dell’introduzione (e diffusione) del virus PSA.

Nel 2021 il Ministero della Salute ha pubblicato il piano di sorveglianza per la peste suina africana: linee guida per la gestione die campioni e del flusso informativo.

Il piano, redatto con il supporto tecnico e scientifico del CEREP (Centro di Referenza Nazionale per lo Studio delle Malattie da Pestvirus e da Asvirus),  si articola in diversi ambiti:

a. sorveglianza passiva nelle popolazioni di cinghiali;

b. sorveglianza passiva negli allevamenti di suini;

c. gestione della popolazione di cinghiali;

d. verifica dei livelli di applicazione delle misure di biosicurezza;

e. campagna di formazione ed informazione degli stakeholders

La metodologia proposta nel piano prevede la costruzione di mappe di rischio che diventano uno strumento per poter classificare i comuni di un territorio, in base alle categorie di rischio di introduzione della PSA in allevamento. Secondo questo schema, i comuni di un territorio sono diversificati su tre livelli: basso rischio, medio rischio e alto rischio. Per ogni fattore di rischio il peso è stato modulato sulla base del numero di aziende e non sul numero di capi. Le variabili prese in esame sono 5: tipologia di allevamento, capacità della struttura, gestione degli animali, biosicurezza, zone di interesse faunistico. I fattori di rischio individuati sono: tipologia di allevamento (familiare, ciclo aperto, ciclo chiuso, ingrasso, ecc..); consistenza struttura (familiare, non familiare per numero di capi); gestione animali (stabulato, brado, semibrado); livello di biosicurezza; zone di interessa faunistico in merito alla probabilità di interazione tra animali domestici e selvatici.

Per saperne di più, visitate il sito dell’EFSA dedicato appunto alla Peste suina africana.

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