Un gruppo di ricercatori dell’Università di Sassari ha pubblicato uno studio sulla genetica delle popolazioni italiane di cinghiale, per risalire alle origini delle immissioni di cinghiali in Italia dagli anni ’60. Lo studio, pubblicato nel 2022, ha dimostrato che i cinghiali in Italia immessi in natura a partire dal 1960, contrariamente a quanto ritenuto finora, provengono in prevalenza da soggetti dell’area tirrenica e appartenenti alla sottospecie Sus scrofa majori, volgarmente conosciuta come “cinghiale maremmano”.
Secondo alcuni documenti, nel 1966, in una località collocata nella parte orientale delle Colline Metallifere e precisamente a Cornocchia, in provincia di Siena, l’Azienda di Stato delle Foreste Demaniali realizzò nel bosco demaniale tre recinti, di circa complessivamente 700 ettari di superficie e circa 12 chilometri di perimetro, all’interno dei quali rimasero chiusi alcuni cinghiali presenti naturalmente in quel territorio e appartenenti alla sottospecie Sus scrofa majori. Da questo piccolo nucleo di cinghiali si sviluppò successivamente un importante allevamento, che negli anni ‘80 arrivò a circa 1.400 cinghiali, composto esclusivamente da esemplari già presenti nel territorio.
Questi documenti appaiono dunque confermare la scoperta dei ricercatori dell’Università di Sassari, che grazie ai più moderni metodi di indagine sulla genetica delle popolazioni italiane di cinghiale, sono arrivati a conclusioni di assoluta rilevanza scientifica. Il lavoro è stato condotto tramite l’analisi dei patrimoni genetici di 134 cinghiali, provenienti da sei diverse regioni italiane (Val d’Aosta, Liguria, Toscana, Lazio, Calabria e Sardegna), e 7 maiali, a loro volta confrontati con il DNA di 128 cinghiali europei e di 103 suini domestici.
Dai risultati è emersa la considerevole differenza genetica esistente tra i cinghiali presenti in buona parte dell’Italia e quelli diffusi nel resto dell’Europa, provocata in tempi primordiali dalla barriera geografica delle Alpi. È stata dimostrata anche la marcata diversità genetica esistente tra i cinghiali italiani e i maiali e il sostanziale mantenimento da parte dei cinghiali italiani della loro identità genetica originaria.
Questi dati genetici hanno dunque provato come i rilasci di cinghiali avvenuti in Italia a partire dagli anni ’60, siano stati composti da un numero limitato di esemplari di origine europea o di ibridi con il maiale e, viceversa, costituiti in prevalenza da soggetti provenienti dall’area tirrenica, di Castel Porziano, della Maremma tosco-laziale e delle Colline Metallifere, appartenenti al cinghiale maremmano. È proprio dalla vasta area boscosa e ricca di minerali denominata Colline Metallifere, dove il cinghiale non si è mai estinto, che provengono le prove documentali che avvalorano la tesi sui ripopolamenti attuati. Secondo molti esperti, i maremmani erano poco pesanti, al massimo 60 chilogrammi o poco più, e di conseguenza il peso “esagerato” degli odierni cinghiali sarebbe dovuto esclusivamente agli europei immessi a partire dagli anni ’70 ed agli incroci con i maiali realizzati al fine di alterarne pesi e prolificità.
I dati genetici riportati dai ricercatori dell’Università di Sassari, confortati dalla documentazione tecnico-amministrativa emersa dagli archivi dell’ex Azienda di Stato delle Foreste Demaniali di Siena, offrono l’opportunità di riconsiderare in modo più documentato l’intera vicenda del cinghiale italiano. Ci sono stati infatti anche importanti fattori ecologici che hanno favorito l’espansione delle popolazioni di cinghiale e l’emergere di caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali apparentemente alterate. Come ad esempio, i boschi abbandonati a partire dagli anni ’60, ricolmi di ghiande e castagne, che ritornarono ad essere un habitat eccezionale per i cinghiali. È proprio in queste modificazioni ambientali, piuttosto che nelle alterazioni genetiche a seguito delle immissioni di soggetti continentali e/o all’ibridazione con i maiali, che sembrano risiedere le vere ragioni del boom demografico dei cinghiali italiani. “Sicuramente abbiamo scoperto che abbiamo un’altra eccellenza italiana, perché probabilmente la maggior parte dei cinghiali che abbiamo oggi sono proprio frutto di questa ibridazione, partendo dai cinghiali dell’est Europa, che erano già un po’ diversi da quelli originari, ibridati poi con dei suini domestici”, commenta il Presidente di Assosuini, Elio Martinelli: “Per cui c’è un incrocio adesso e infatti un veterinario che è anche cacciatore con un ruolo importantissimo oggi in Italia, ha confermato che questo animale trasformato in salumi è veramente un prodotto eccezionale. Quindi magari un domani si potrebbe farne veramente un’attività interessante, soprattutto nelle zone collinari e montagnose, dove ci sono i boschi, le castagne e le ghiande appunto. Ma resta il fatto che adesso noi abbiamo un problema: dobbiamo liberarci dalla Peste Suina Africana. Quindi a me piacciono tantissimo questi bei ragionamenti per il futuro, ma dobbiamo liberarci dal virus, e ci vorrà del tempo”.