Dazi e settore suinicolo, a che punto siamo?

L’Italia ha raggiunto un traguardo storico nel 2024, esportando oltre 67 miliardi di euro in prodotti agroalimentari, che impatto potrebbero avere i dazi tra 90 giorni?

L’Italia ha raggiunto un traguardo storico nel 2024, esportando oltre 67 miliardi di euro in prodotti agroalimentari, con una crescita annua dell’8%, la più alta tra i grandi esportatori globali. Tuttavia, questa espansione potrebbe rallentare a causa della minaccia di nuovi dazi americani annunciati da Trump, che colpirebbero in particolare i prodotti europei. Denis Pantini di Nomisma sottolinea come l’Italia sia il paese UE più esposto sul mercato statunitense, con il 12% dell’export agroalimentare diretto verso gli USA, dove l’eventuale applicazione di dazi fino al 200% su prodotti come il vino potrebbe avere impatti significativi, soprattutto considerando che il deficit commerciale USA con l’UE è rilevante solo sul fronte delle merci.


I prodotti italiani più a rischio includono molte eccellenze del Made in Italy: il 72% dell’export di sidro, il 57% dei formaggi Pecorino Romano e Fiore Sardo Dop, il 48% dei vini bianchi Dop del Nordest e il 40% dei vini rossi Dop toscani trovano sbocco principale negli Stati Uniti. Anche l’olio extravergine, gli aceti e le acque minerali mostrano un’elevata dipendenza dal mercato americano. A livello territoriale, le regioni più esposte sono Sardegna, Toscana, Lazio, Abruzzo e Campania, con il Centro-Sud in generale a rischio maggiore a causa di legami storici e commerciali forti con gli USA, spesso sostenuti dalle comunità italiane all’estero.


E il settore suinicolo? Sempre nel 2024, l’export italiano di prodotti suini verso gli Stati Uniti ha mostrato segnali molto positivi. Nei primi sette mesi dell’anno, le esportazioni hanno raggiunto le 11.700 tonnellate, con un aumento del 19,4% rispetto allo stesso periodo del 2023, quando si fermavano a 9.800 tonnellate. A trainare questa crescita sono stati in particolare salumi come salsicce e salami, passati da 51.100 a 60.500 tonnellate, ma anche il prosciutto cotto, che ha visto un balzo da 14.700 a 18.200 tonnellate.


Una spinta importante è arrivata anche dalla riapertura del mercato americano a prodotti suini provenienti da regioni italiane che in passato erano state bloccate per motivi sanitari. Un esempio è il via libera degli Stati Uniti, arrivato a giugno 2024, all’importazione di carne suina fresca e a breve stagionatura da Toscana e Umbria, riconosciute ufficialmente come aree libere dalla malattia vescicolare del suino. Questa decisione ha aperto nuove opportunità per i produttori locali, con le prime esportazioni riprese già da luglio dello stesso anno.


Ecco, questi numeri rischiano di subire una contrazione rilevante, ma molto inferiore a quella dei prodotti caseari e vitivinicoli. Prima di tutto i volumi sono inferiori, con valori economici relativi. Secondo i prodotti sono di norma riservati a mercati meno colpiti da aumenti di prezzo. Terzo, il grosso del consumo è interno. Per una volta, le strategie questionabili dei Consorzi potrebbero pagare: avere meno successo del Parmigiano protegge da manovre commerciali come i dazi, entro certe soglie.


Quindi, se il settore dell’allevamento suinicolo sta già attraversando un periodo difficile, non è probabile che sia danneggiato quanto altri dalle tariffe. Il problema che resta è quello di saper gestire una fase difficile puntando su valore e valori. Valore in termini di ricerca, sviluppo e costante attenzione alla qualità. E valori, in termini di tradizione, fedeltà alla propria identità e cura del consumatore. I dazi vanno e vengono, così come il bando ai prodotti dovuto a patologie, ma il nome e la qualità restano.


Facciamoci forza, dunque, abbiamo sentito suonare le campane di mezzanotte. L’alba non può essere così lontana.

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