Sono usciti su CLAL i dati del comparto suinicolo per il 2024. Le buone notizie sono molto poche. Quelle interessanti invece molte di più. Il tema è che, pur nella straordinarietà della situazione si individuano delle tendenze che ci devono far riflettere sul futuro.
Il settore suinicolo sta attraversando un momento difficile, e noi allevatori siamo in prima linea ad affrontare le sfide quotidiane. L’incertezza è alta, alimentata da molteplici fattori che mettono a rischio la sostenibilità delle nostre aziende.
Uno dei problemi più gravi è la diffusione della PSA. Quanto tempo ci vorrà per sconfiggerla? Quando potremo tornare a esportare senza restrizioni? L’impossibilità di accedere ai mercati esteri sta già avendo conseguenze pesanti sui prezzi e sulle aziende coinvolte.
Le macellazioni in Italia sono in lieve aumento (+0,4% tra gennaio e novembre 2024), ma il numero di suini destinati alle produzioni DOP e IGP è calato del 5% (da 7.398.020 a 7.024.167 capi). Questo è il risultato diretto dell’aumento dei costi di produzione, una tendenza che, purtroppo, sembra destinata a peggiorare. I prezzi dell’alimentazione animale e dell’energia continuano a salire, mettendo ulteriormente sotto pressione le nostre aziende.
A complicare la situazione c’è il calo dei consumi: le famiglie acquistano meno carne suina fresca (-1,3%), prosciutto crudo (-2,8%), salame (-3,4%) e mortadella (-2%). I consumatori vedono aumentare i prezzi al banco, ma lungo la filiera il nostro lavoro non viene adeguatamente remunerato. La carne fresca in CUN sta subendo ribassi, complice l’aumento delle importazioni (+8,14% in volume tra gennaio e ottobre 2024) da Paesi come Germania, Spagna e Olanda, che producono a costi più bassi e offrono prezzi più competitivi. Inoltre, la crescita della produzione europea (+415.000 tonnellate tra gennaio e ottobre 2024) sta ulteriormente deprimendo il mercato interno.
Le produzioni DOP, che dovrebbero rappresentare un valore aggiunto per il settore, stanno subendo un colpo pesante. Le sigillature per i prosciutti crudi DOP, come il Parma e il San Daniele, sono ai minimi storici: -7,9% per il primo e -6,8% per il secondo rispetto al 2023.
Questo ci deve far riflettere su cosa cambiare nel mondo della DOP. E il primo pensiero non può che andare ai disciplinari. Con un trend che vede i margini della filiera ridursi, le cosce italiane diminuire e un pubblico che non è più particolarmente attratto da un’offerta di alto livello sempre uguale a se stessa, la genetica ha ancora senso? Questo singolo elemento affligge tutti e tre gli ambiti: impedisce di innovare, aumentando i margini, riduce le cosce disponibili e non consente una evoluzione del prodotto. Il problema più grande, naturalmente, è la natura stessa del disciplinare, ma ne parleremo più approfonditamente in altra sede.
A tutto questo si aggiunge la carenza di manodopera, l’invecchiamento degli allevatori e la burocrazia sempre più opprimente. Se non si interviene con misure concrete, il rischio è l’abbandono progressivo della suinicoltura, indebolendo una filiera che invece dovrebbe essere il punto di forza del made in Italy agroalimentare. Noi allevatori continuiamo a resistere, ma servono risposte rapide e strategie mirate per garantire un futuro sostenibile al nostro lavoro e alle generazioni che verranno.