Stefania Veneroni: “Ha senso parlare di allevamenti intensivi in Italia?”

Spesso gli allevamenti intensivi vengono additati come luoghi di sovraffollamento di animali maltrattati e di essere addirittura l’origine delle pandemie. Non è così.

Ancora troppo spesso gli allevamenti intensivi vengono additati come la causa di tutti i mali, accusati di essere dei luoghi di sovraffollamento di animali maltrattati e di essere addirittura l’origine delle pandemie. Eppure non è così. A cominciare dal termine “intensivo”, che soprattutto nel contesto italiano non ha alcun senso. Ne abbiamo parlato con un’addetta ai lavori, che con gli allevamenti ha a che fare tutti i giorni da anni: Stefania Veneroni, membro del consiglio di amministrazione di Dox-al Italia SpA, un’azienda che dal 1967 si occupa dell’alimentazione e del benessere animale.

“Lavorando da tanti anni nel settore e conoscendo la realtà degli allevamenti in Italia, mi sono spesso domandata se fosse corretta la definizione di “intensivo”, a cui secondo me viene attribuita una connotazione negativa”, spiega Stefania sul suo profilo LinekdIn, attraverso il quale prova spesso a diffondere informazioni corrette sul nostro settore: “Infatti, parlando di intensivo si evoca l’immagine di un gran numero di animali, tutti stipati in uno spazio ristretto, inadeguato e in condizioni igieniche disastrose. È certo che le immagini vergognose di allevamenti mal gestiti che abbiamo visto tutti in televisione non mostrano la realtà del nostro settore, e vi posso garantire che siamo noi i primi ad esserne inorriditi e ci indignano perché non solo non ci rappresentano, ma ci danneggiano”.

Cosa intendiamo quindi per allevamento intensivo? Secondo Stefania Veneroni, ogni forma di allevamento che prevede la custodia, la crescita e la riproduzione degli animali in ambienti che sono confinati e protetti. “Io preferisco definirlo un allevamento produttivo e protetto”, precisa Stefania: “È indubbio il fatto che l’allevamento sia un’attività industriale con una sua finalità produttiva, questo non va negato. Però è altrettanto ovvio che per essere produttivi gli animali devono essere ben accuditi, ben nutriti, se necessario medicati e tutto questo fa sì che si preservi la loro salute e in conseguenza l’efficienza produttiva”.

Maltrattando gli animali infatti, performance e qualità delle produzioni diventano pessime, inaccettabili e insostenibili. Per questo c’è sempre più attenzione verso il benessere degli animali, anche grazie allo sviluppo di tecnologie che hanno portato ad una migliore cura e una maggiore efficienza nell’uso delle risorse. È dimostrato infatti che un animale in ottime condizioni di benessere esplica al massimo le sue potenzialità produttive, risultando più efficiente e conferendo prodotti di qualità superiore.

Inoltre, intensivo non significa comunque senza spazio. Ogni animale ha il suo spazio garantito per legge, in un ambiente luminoso, pulito, ben areato, con cibo, acqua fresca e con giochi e arricchimenti ambientali che consentono l’espressione delle caratteristiche specie-specifiche. Anzi, in aziende “intensive” con migliaia di capi, gli animali hanno moltissimo spazio a disposizione, mentre nei piccoli allevamenti a conduzione familiare ci possono essere pochi animali costretti a stare nei limitati metri quadrati di una piccola stalla.

Anche riguardo all’origine delle pandemie, gli allevamenti intensivi sono risultati quelli più capaci di prevenirle, mentre il vero pericolo arriva dalla fauna selvatica. Negli allevamenti infatti gli animali sono tenuti in ambienti confinati, dove il contatto con l’uomo o i selvatici sono ridotti quasi a zero, grazie all’automatizzazione e misure massime di biosicurezza, costituendo una barriera protettiva contro la diffusione dei virus.

Se siete addetti ai lavori, fate come Stefania: serve che si contribuisca tutti a diffondere informazioni corrette. Altrimenti se ne occupano altri, come quelle ONG animaliste che, per eliminare l’agricoltura animale (come molte di loro ammettono di voler fare), sono disposte ad inventarsi la qualunque. Il nostro è un lavoro utile, ben fatto ed importante: lo dobbiamo raccontare.

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