Giulia Innocenzi mi ha inserito nel suo ultimo film, “Food for Profit”. Ne sono onorato, e visto che sono stato chiamato direttamente in causa, mi sembra opportuno rivelare la malafede che contraddistingue questo suo lavoro: un goffo tentativo di gettare discredito su persone e settori non graditi alla nota attivista veg.
Iniziamo quindi con l’inquadrare meglio il contesto da cui il suo “infiltrato con telecamerina” ha estrapolato alcune mie dichiarazioni. Si tratta di un mio discorso di ben cinque anni fa, che si è tenuto a Bruxelles. Era un Summit scientifico in cui a me (unico non scienziato) era stato chiesto di spiegare come funzionano la comunicazione e l’informazione nel momento in cui si vuole parlare di produzioni animali e temi simili. C’è anche una parte, nel film della Innocenzi, in cui appunto un ragazzo con una telecamerina nascosta cerca di estorcermi delle frasi di approvazione su una cosa che neppure conoscevo e di cui mi si è messo a parlare lui, con tanto di immagini disgustose ed inquietanti: esperimenti genetici sugli animali e cose simili.
Premetto che non sapevo di essere stato inserito in questo film, anche perché nessuno mi ha mai chiesto niente. Indagando, ho notato che qualcuno ha chiesto agli organizzatori dell’evento da cui le hanno prese di usare immagini mie (e del professor Frank Mitloehner, altro relatore usato nel film). Da notare che nessuno ha mai dato l’autorizzazione ad usare quelle immagini. Questo è un dettaglio che mi interessa poco, perché non ho niente da nascondere. Come comunicatore, come giornalista, devo però farmi due domande. E le devo fare anche a Giulia Innocenzi.
La prima è sul metodo. Perché io me lo ricordo questo ragazzo, il suo “infiltrato con la telecamerina” che è venuto a lato di quell’evento a farmi domande su cose allucinanti, come esperimenti genetici sugli animali che prevedevano la creazione di maiali con sei zampe, vacche con tubi infilati al loro interno per aumentarne la produttività e obbrobri simili… Erano cose talmente assurde, lo ripeto, da essere disgustose ed inquietanti.
Io non mi ricordo di tutti quelli che ho incontrato, soprattutto dopo aver parlato ad un evento, perché è sempre una situazione abbastanza confusa. Ma mi ricordo bene di questo signore, proprio per l’assurdità delle cose di cui mi veniva a parlare, con tanto di immagini stampate che ha tirato fuori, facendo finta di essere qualcuno che le voleva promuovere. Io, per educazione, sono stato lì ad ascoltare, fingendo interesse, e dicendo se non ricordo male (sono passati cinque anni) che ne avremmo magari parlato più avanti. Solo adesso ho capito che era un tentativo di trarmi in inganno.
E questo è il punto più importante, cioè portare una persona a parlare di qualcosa che non sa o che non le interessa, facendo passare il messaggio che invece è questa stessa persona a voler promuovere determinate cose. Cercare di estorcere delle dichiarazioni su pratiche assurde, per poi farle passare come un desiderio dell’intervistato di promuovere queste stesse pratiche (di esperimenti genetici, in questo caso) è di una disonestà intellettuale oltre ogni misura. E questo sarebbe “giornalismo di inchiesta”?
Quindi chiedo: è così che Giulia Innocenzi fa i suoi scoop e le sue inchieste? Mettendo parole e concetti a cui vuole dare risalto lei, per motivi ideologici e personali suoi, facendone parlare a persone che per questi concetti non provano nessun interesse, o di cui non sanno nulla (essendo falsità montate ad arte per diffamare gli intervistati)? Ripeto: ci rendiamo conto della scorrettezza di questo modo di operare, soprattutto da parte di chi ha fatto del vittimismo (la povera giornalista “indipendente” contro le lobby cattive) il suo tratto distintivo? O vogliamo continuare a far finta di niente e chiamare tutto questo “informazione”?
Giulia Innocenzi è dichiaratamente “veg”, quindi il suo non è giornalismo, ma attivismo animalista. Quindi davvero si può prendere sul serio il suo lavoro e dare per scontate la sua buona fede, o la sua presunta superiorità morale? Perché io che collaboro in totale trasparenza con il settore zootecnico come comunicatore (anzi, giornalista, visto che scrivo articoli e faccio interviste) vengo dipinto come un lobbista, mentre lei che fa lo stesso per la lobby “Plant-Based” no? Chi dice che lei è moralmente superiore?
Questa è una cosa che bisognerebbe iniziare a chiedersi. Anche considerando che questo “documentario”, Giulia Innocenzi, non se l’è auto-prodotto, ma è stato fatto grazie ai generosi finanziamenti di realtà come Avaaz, Vice Italia, Vegan Grants, Green World, Fondazione Prima Spes, Davide Parenti, Sebastiano Cossia Castiglioni e Michiel Van Deursen – gli ultimi due, per quel che ne so, casualmente imprenditori molto attivi nell’ambito degli alimenti Plant-Based sostituti della carne.
Quindi, ora faccio un’ultima domanda, che è la stessa che Giulia Innocenzi fa a se stessa all’inizio di un suo articolo sul Fatto Quotidiano in cui ha elegantemente autopromosso il suo documentario all’indomani della prima presentazione presso il Parlamento europeo (alla faccia del lobbysmo): “Viviamo in una democrazia o in una lobbycrazia?”.
Forse Giulia, che è molto idealista, lo ignora. Ma la lobby vegana è estremamente ricca e potente. Basti considerare i marchi che ci sono dietro le produzioni vegan (multinazionali interessate al Food per una mera questione di Profit, anche comprensibilmente), o le start-up che stanno nascendo per produrre carne artificiale (o coltivata, sintetica, in vitro, fatta in laboratorio…) dietro cui ci sono investimenti miliardari (sì, miliardari, anche nell’Unione europea).
Tutte queste realtà, mosse tanto dal desiderio di fare profitti quanto da una certa furia ideologica, oltre ad avere un’agenda ben precisa (eliminare in tot anni le produzioni animali), non disdegnano per promuoverla di finanziare giornali, documentari o ONG animaliste. Queste aziende, che spesso non sono europee ma fanno comunque lobbysmo per come possono a Bruxelles, usano le ONG animaliste che finanziano come testa d’ariete presso l’opinione pubblica e le Istituzioni europee. In parole povere, le usano per portare all’accettazione sia sociale che di molti decision maker dei loro prodotti sostitutivi della carne.
Dietro a tutto questo ambiguo amore per gli animali, insomma, c’è un’enorme attività di lobbying. Così come, ovviamente, dietro ogni tentativo di fare autorizzare prodotti alternativi alla carne, al latte o alle uova. Quindi finiamola per favore di far passare per santi tutti coloro che promuovono l’eliminazione della carne o dell’allevamento, anche perché questa ingenuità può rivelarsi dannosa per tutti, alla lunga.
Il legittimo desiderio di Giulia Innocenzi di smascherare le lobby del settore Food, così focalizzate sul profitto (incredibile, vero?), la porterà a far produrre un documentario che si dedichi anche alle mosse spesso occulte della lobby vegan, e quindi agli interessi dei produttori Plant-Based che hanno finanziato questo suo ultimo lavoro, alla scarsità di trasparenza che spesso caratterizza i finanziamenti ricevuti da alcune ONG ambientaliste e animaliste che promuovono i suoi eventi ed i suoi libri, o continuerà con questo sospetto giustizialismo a senso unico?
Io dubito che la nostra farà mai un documentario di questo tipo, però chiedo appunto a lei e ai lettori che sono arrivati fino a qui se operare in questo modo e fare dei documentari scandalistici per niente informativi abbia un senso, o un valore. Perché quello che dice Giulia Innocenzi o chi la segue è di chiudere gli allevamenti intensivi, qualunque cosa ciò significhi in Italia o in Europa, mettere la parola fine sulle produzioni animali e sulla possibilità da parte dei consumatori (soprattutto le fasce più deboli) di poter adottare diete complete ed equilibrate. Una cosa immorale, che tra l’altro non ha senso sotto nessun aspetto: ambientale, sociale, economico e culturale. Perché è come se noi vedessimo delle immagini di una maestra che picchia un bambino all’asilo, gesto orribile, che va ovviamente sanzionato/punito, e chiedessimo la chiusura di tutti gli asili.
Se questa propaganda animalista serve a migliorare la situazione è una cosa, ma se serve solo a promuovere gli interessi della lobby vegana, non siamo d’accordo.
La questione del benessere animale è importante e a tutti interessa migliorare le condizioni degli animali da allevamento. Banale ricordarlo, ma lo devo fare: agli allevatori in primis, perché se non si trattano bene gli animali non si ottengono prodotti di qualità, il che porta a finire fuori mercato, in una situazione già difficile, oltre che ad andare incontro a multe molto salate, se non alla reclusione (il maltrattamento animale in Italia è già reato penale – anche senza nuove inutili proposte di legge, a proposito). Attaccare a priori e in modo così superficiale, ideologico e ripeto molto scorretto il settore zootecnico e le persone che ci lavorano o lo rappresentano, non è giornalismo.
Dato che siamo tutti d’accordo che si possono e si devono migliorare le condizioni degli animali in allevamento (anche in Italia e in Europa, dove peraltro sono già superiori che nel resto del mondo), ha invece senso collaborare con chi lavora in questo settore.
Questa è stata la mia scelta personale. Mi sono sempre occupato di ambiente e sostenibilità, come giornalista, e continuo a farlo collaborando con chi è letteralmente sul campo o in stalla per produrre in maniera etica e sostenibile il nostro cibo. Non facendo “documentari” che provano in maniera totalmente disonesta a screditare persone e settori, ma vedendo insieme a loro come poter migliorare il settore, riducendone gli impatti negativi.
Spero nella buona fede di chi si vuole interessare veramente ai temi legati alla produzione di carne e di prodotti di origine animale (benessere animale, impatti ambientali, clima, sicurezza, ecc.). E spero di dare con queste mie parole uno spunto di riflessione sulla veridicità di certi messaggi, veicolati senza nessun rispetto per le persone e per la deontologia da alcuni attivisti travestiti da giornalisti.
Fonte: Ruminantia.it