Da quando il professor Roberto Burioni e la giornalista Selvaggia Lucarelli, noti conoscitori esperti e visitatori di allevamenti italiani, ne hanno rispettivamente parlato in TV e scritto su facebook, sta continuando a girare la notizia di un enorme allevamento intensivo di maiali in Cina, il cosiddetto “Pig Palace”. Si tratta di un palazzo di ben 26 piani in cui verranno allevati fino ad 1,2 milioni di maiali all’anno. Un vero abominio per gli animalisti che, ovviamente, sono insorti contro questa struttura, tirando subito in ballo questioni di benessere animale, sviluppo di nuove malattie e inviti a smettere di consumare carne. Ma qui non siamo in Cina, e ci sentiamo in dovere di rispondere agli innumerevoli attacchi che continua a subire la zootecnia italiana, sulla scia di quello che accade altrove. Di solito in America, questa volta appunto in Cina. In Italia non esistono Pig Palace, e non è giusto approfittare di questa notizia per paragonare gli allevamenti italiani con quelli asiatici.
In Italia siamo lontani anni luce dalla grandezza delle strutture e dei numeri cinesi: con poco meno di 30mila allevamenti di suini, il patrimonio suinicolo italiano è inferiore ai 9 milioni di capi, con una media per allevamento di circa 290 capi. Come al solito chi rema contro l’allevamento ha preso la palla al balzo per strumentalizzare la notizia del Pig Palace cinese, al fine di continuare a screditare e criminalizzare la zootecnia, puntando il dito contro gli allevamenti intensivi, come se la situazione in Italia e in Europa fosse la stessa. Siamo di fronte all’ennesimo ottuso attacco alla nostra zootecnia, che non fa distinzione tra realtà diverse di Paesi molto differenti tra loro.
In Italia e in Europa siamo all’avanguardia per il rispetto della salute e del benessere degli animali e, anche qui checché ne dicano ancora Fabio Fazio e Roberto Burioni, anche nella riduzione degli antibiotici. A tal punto che non ha neppure senso definire i nostri allevamenti “intensivi”, ma “protetti”, “confinati”, o di “precisione”. E per chi urla al rischio di nuove pandemie, c’è da sapere che solo l’allevamento confinato riesce a garantire adeguate misure di biosicurezza e proteggere efficacemente i suini da malattie, come la Peste Suina Africana, per il mancato contatto con i selvatici portatori del virus. E chi ne approfitta per dare man forte alle sue tesi ideologiche, facendo sentire in colpa chi mangia carne denunciandone un consumo sconsiderato, farebbe meglio a sapere che in Italia il consumo reale di carne è tra i più bassi, con appena 38 kg a testa, perfettamente in linea con i dettami della dieta mediterranea.
“Quanto ho letto in questi giorni sui social e in particolare su Facebook sono insensati post di noti influencer che si scagliano contro la produzione della carne con il pretesto del grattacielo per suini”, commenta Giuseppe Pulina, Professore ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti dell’Università di Sassari e presidente dell’Associazione Carni Sostenibili: “Chi scrive porta esempi paradossali: se ci sono animali che abitano l’uno sull’altro (nei condomini) sono proprio i nostri animali da compagnia! Allora il tema non è in che tipo di strutture abitino gli animali (e molti, forse troppi, dei nostri pet sono “cani da terrazzino”, o peggio ancora da “divano”, ambiente totalmente naturale, ovviamente), ma come ci vivono dentro. Anche i lupi o i gatti selvatici conducono una vita diversa in natura, ma questo non è un termine di paragone. Spazi, benessere e rispetto della salute di animali e uomini sono i presupposti per giudicare l’eticità di un allevamento.”
Chissà se a Roberto Burioni, Fabio Fazio e Selvaggia Lucarelli interessa qualcosa di tutto ciò. O se l’audience e i like su facebook contano più dell’informazione corretta sul nostro settore.