PSA, suinicoltura italiana sull’orlo del baratro

Non si arresta l’avanzata della Peste Suina Africana (PSA), causando gravi preoccupazioni per la suinicoltura italiana, ora letteralmente sull’orlo di un baratro.

Non si arresta l’avanzata della Peste Suina Africana (PSA), causando gravi preoccupazioni per la suinicoltura italiana, ora letteralmente sull’orlo di un baratro. L’epidemia infatti sta mettendo a rischio la sopravvivenza dell’intero settore suinicolo, fondamentale per l’agroalimentare italiano. Con oltre 10 milioni di suini allevati, 100mila posti di lavoro e un valore della produzione di circa 20 miliardi di euro, l’epidemia minaccia non solo la produzione di carne suina, ma anche la filiera dei salumi DOP, un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale, con perdite economiche stimate fino a 30milioni al mese.

La situazione è critica ed è allarme per gli allevatori, che chiedono certezze e risposte concrete, senza più perdere tempo. Riuniti in un incontro con il nuovo Commissario straordinario alla PSA, Giovanni Filippini, gli allevatori hanno lanciato il loro disperato grido d’allarme, sottolineando l’urgente necessità di un intervento immediato da parte delle istituzioni, con misure più drastiche per contenere il virus e arginare l’epidemia, oltre che sostenere economicamente le aziende colpite.

Durante l’incontro, Filippini ha sollevato gli allevatori da ogni colpa e responsabilità e ha delineato una nuova strategia mirata, che prevede un’azione massiccia contro i cinghiali, principali vettori responsabili della diffusione del virus. Elio Martinelli, Presidente di Assosuini, ha ricordato infatti che le carcasse dei cinghiali infettati possono contaminare il terreno a lungo, aumentando il rischio di contagio per gli allevamenti vicini.

La Peste Suina Africana utilizza i cinghiali come vettori e come bacino di riserva. Quando uno di questi animali muore, e capita fino al 95% degli animali infettati, la carcassa continua a contaminare il terreno per minimo 6 mesi”, sottolinea Martinelli: “Se la morte avviene entro 500 metri da un allevamento, il rischio contagio diventa altissimo. Lo Stato non sta riuscendo a ridurne il numero in maniera significativa”.

Ma non solo azioni decisive contro i cinghiali, gli allevatori chiedono anche indennizzi rapidi e adeguati alle perdite subite e per garantire la continuità delle attività, il monitoraggio dei prezzi, per evitare speculazioni sul prezzo della carne suina e sostegno finanziario, attraverso lo stop di mutui e contributi per le aziende colpite. Non solo per non soccombere, ma anche perché non meritano ora di diventare il capro espiatorio per le mancanze di latri. Ricordiamo infatti che la maggior parte degli allevamenti suinicoli italiani ha messo in atto tutte le misure di biosicurezza richieste.

Il fermo delle attività, gli abbattimenti e le restrizioni infatti stanno mettendo in ginocchio molte aziende, soprattutto quelle più piccole. “Siamo proprio sull’orlo di un disastro”, commenta Rudy Milani, presidente nazionale dei suinicoltori di Confagricoltura: “Saranno 15-20 anni che lamentiamo che una fauna selvatica fuori controllo è un grossissimo problema; oggi stiamo raccogliendo i frutti del non essere stati ascoltati”.

Consigliamo la visione del meeting dello scorso 4 settembre tenutosi presso il Parlamento europeo a Bruxelles (dal minuto 17:21, selezionare dopo aver cliccato sul simbolo delle cuffie, “audio”, la lingua italiana), in cui è stato detto chiaramente che l’unica arma per arginare la PSA è la riduzione dei cinghiali, almeno finché non ci sarà un vaccino per sconfiggere il virus.

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