La Peste Suina Africana (PSA) avanza ormai inarrestabile, con conseguenze economiche e sociali gravissime, mettendo a rischio la sopravvivenza dell’intero settore suinicolo. Facciamo il punto della situazione, analizzando come siamo arrivati in questa condizione, quali sono i principali problemi e che azioni risolutive ci aspettiamo dal governo, per evitare che la suinicoltura italiana finisca nel baratro.
Ribadiamo che questa malattia virale altamente contagiosa per i suidi non è assolutamente trasmissibile all’uomo, né pericolosa per gli esseri umani, ma colpisce solamente i suini domestici e selvatici, come i cinghiali, per i quali ha un’elevatissima mortalità. Il virus ha origine dall’Africa sub-sahariana e si è diffuso rapidamente in Asia, in Europa e in diverse regioni del mondo, perché molto resistente, in grado di sopravvivere per mesi nel terreno e cinghiali, facoceri, maiali e zecche hanno contribuito alla sua propagazione, creando un serbatoio naturale difficile da controllare.
In Italia il primo focolaio è stato rilevato in Sardegna negli anni ’70, ma l’isola, con le giuste strategie, è riuscita a vincere la sua battaglia e a sconfiggere completamente l’epidemia. Non esiste ancora un vaccino efficace per prevenire la PSA, anche se ci sono delle promettenti ricerche in corso, ma la Sardegna, così come la Spagna, Belgio e Repubblica Ceca, sono riusciti a liberarsene, diventando degli esempi da seguire ai fini della sua eradicazione.
Ad oggi infatti il virus è arrivato nelle zone a più alta vocazione suinicola, come Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e soprattutto Lombardia, trasportato dai cinghiali selvatici. Questo ha causato gravi perdite economiche per l’intero settore suinicolo, un comparto fondamentale per l’agroalimentare italiano, con oltre 10 milioni di suini allevati, 100mila posti di lavoro e un valore della produzione di circa 20 miliardi di euro. L’epidemia minaccia così l’intera produzione di carne suina e i salumi tutelati a marchio DOP e IGP, con perdite economiche fino a 30milioni al mese, secondo stime Assica.
Numerosi Paesi extra UE hanno chiuso l’import dei prodotti italiani a base di carne suina, con ripercussioni devastanti sulle esportazioni e sul mercato globale. Per evitare il disastro diventa quindi prioritario intensificare nelle aree con allevamenti gli abbattimenti dei cinghiali, vettori e bacino di riserva del virus. Infatti, quando uno di questi animali muore, e capita fino al 95% degli animali infettati, la carcassa continua a contaminare il terreno per minimo 6 mesi, e se la morte avviene entro 500 metri da un allevamento, il rischio contagio è quasi certo.
Sono anni che il settore lamenta che la fauna selvatica fuori controllo è un problema insidioso e oggi si raccolgono i frutti del non essere stati ascoltati. Il governo finora è stato completamente inadeguato, senza esiti positivi, non riuscendo a ridurre il numero di ungulati in maniera significativa, anche a causa delle proteste e minacce degli animalisti. E i Commissari Straordinari alla PSA sono stati continuamente sostituiti, perdendo solo tempo prezioso.
Per combattere efficacemente la PSA ci si aspetta che il governo italiano potenzi le misure di biosicurezza, con il controllo degli accessi negli allevamenti, la disinfezione dei mezzi di trasporto e il monitoraggio rigoroso del movimento degli animali. Prioritario resta anche ridurre la popolazione di cinghiali, intensificando piani di abbattimento controllati, rispondendo all’appello “decinghializziamo l’Italia”. A proposito serve personale specializzato dedicato, come i cacciatori, con regole sulla caccia chiare e condivise. Bisognerebbe superare inoltre il concetto di “zone rosse” legate alla PSA, preservando le aziende “pulite”, cioè non infette. Le “zone rosse” infatti sono le aree geografiche delimitate dalle autorità sanitarie dove vengono applicate misure restrittive molto rigide, come quarantene, blocchi commerciali e l’abbattimento preventivo di tutti i suini, sia quelli infetti che quelli sani, con ingenti perdite per gli allevatori colpiti.
Una gestione più oculata della PSA permetterebbe di limitare l’impatto sulle aziende suinicole sane, evitando di penalizzare ingiustamente l’intera filiera produttiva. Per arrivare a questo è necessario rafforzare la tracciabilità e i sistemi di sorveglianza veterinaria per rilevare tempestivamente nuovi focolai e delimitare le restrizioni solo alle aziende effettivamente a rischio o infette, senza estenderle a intere regioni. In questo modo, invece di bloccare intere aree, le aziende ritenute “pulite” potrebbero continuare a operare, così da ridurre il danno economico.
L’utilizzo di test diagnostici rapidi per la PSA a proposito potrebbe facilitare un controllo più efficiente, permettendo alle autorità di individuare e isolare tempestivamente solo gli allevamenti infetti. Ad esempio, occorre stimolare la sanità a ricominciare a fare le analisi delle milze, organo target del virus. Infatti, quando un suino è infettato, la milza tende a ingrossarsi e a subire alterazioni significative, come necrosi e emorragie. Per questo l’analisi della milza è un indicatore diretto che fornisce una prova definitiva di infezione, rivelandosi un passaggio chiave essenziale per il controllo e la gestione efficace dei focolai.
Attraverso opportune campagne informative e di sensibilizzazione, il governo dovrebbe educare allevatori, cacciatori e tutta la cittadinanza sull’importanza della prevenzione e del controllo della malattia, e spingere gli amministratori comunali a prendere misure attive contro la PSA, favorendo l’eliminazione dei cinghiali. L’attuazione dei protocolli di biosicurezza rinforzati e delle strategie di eradicazione però richiede grosse risorse finanziarie e il coordinamento tra governo e aziende. Per questo bisogna cercare fondi per questi interventi, in quanto il cinghiale è dello Stato.
Essendo una malattia che non conosce confini, è fondamentale che l’Italia collabori con altri Paesi europei e con organizzazioni internazionali per condividere dati e strategie. Le perdite economiche per gli allevatori sono enormi, ecco perché il governo dovrebbe sostenerli economicamente, attraverso compensazioni finanziarie e incentivi, cercando risorse per salvare le aziende coinvolte e individuare soci per la raccolta di fondi di solidarietà per le aziende.
La lotta alla Peste Suina Africana richiede la collaborazione di tutti: del governo, ovviamente, ma anche gli allevatori, i cacciatori e la società. Senza un intervento efficace, la PSA potrebbe continuare a diffondersi e diventare endemica, aggravando i problemi economici, ambientali e di sicurezza alimentare, fino a causare la fine dell’intera filiera suinicola italiana e dei suoi prodotti d’eccellenza.