Allevamenti intensivi? Semmai protetti, sostenibili e sicuri

Anche se va di moda, fa fare audience ai programmi di cosiddetta “inchiesta” in prima serata, raccogliere donazioni alle Ong “green” e “animaliste”, quando si parla di allevamento dimentichiamo una volta per tutte l’aggettivo “intensivo”. Questa definizione ormai non è più rappresentativa della realtà degli allevamenti in Italia, che oggi sono da definire come “protetti”, o “confinati”, e soprattutto “di precisione”. Questo vale per tutte le specie allevate, compreso il suino, che vanta allevamenti all’avanguardia, orientati al costante miglioramento del benessere animale, alla riduzione degli sprechi e dell’impatto ambientale, incrementando così efficienza e, possibilmente, profitto.

Ad esempio, nell’allevamento suinicolo è stato implementato un sofisticato sistema di alimentazione computerizzato dove i suinetti devono riconoscere un segnale sonoro e quindi azionare un pulsante per ricevere una ricompensa alimentare. Interagire con un dispositivo cognitivamente stimolante, che tenga impegnati gli animali come lo sarebbero in natura, porta effetti positivi sul benessere, riducendo la paura, lo stress e l’insorgere di comportamenti anomali.

Contrariamente a quel che si pensa, gli allevamenti intensivi (insistiamo: protetti) garantiscono alti livelli di benessere animale, sono sostenibili per l’ambiente, rappresentano una soluzione per poter produrre alimenti ad altro valore nutrizionale per la popolazione in crescita e sono anche più sicuri nell’evitare malattie e pandemie di origine zoonotica. Uno studio pubblicato da The Royal Society Open Science si è proposto di confrontare le conseguenze ambientali e sanitarie di diversi sistemi di allevamento: intensivi, estensivi, al pascolo o confinati, di varie dimensioni e per i principali gruppi di specie animali, compresi i suini.

Secondo la ricerca, per soddisfare la maggior richiesta di cibo e di carne dovuta all’aumento della popolazione mondiale, sarà necessario disporre di ulteriori 12,5 milioni di km2 entro il 2050, a scapito degli ecosistemi esistenti, con un aumento del rischio di malattie infettive emergenti. Lo studio mostra come l’allevamento “intensivo” non aumenti questo rischio, al contrario delle pratiche estensive, che non sono migliori a priori come si tende a credere.

L’allevamento estensivo infatti è generalmente meno efficiente, ma soprattutto offre meno garanzie a livello di biosicurezza e di diffusione di malattie infettive. Questo perché, a differenza dei sistemi di allevamento confinati, non possono ridurre al minimo il contatto diretto tra animali allevati e fauna selvatica

L’allevamento in stalla consente inoltre di utilizzare il 31% di terra in meno, a parità di livello produttivo, con un conseguente minor impatto ambientale. Per non parlare di quei piccoli allevamenti in cui l’alimentazione degli animali si basa su scarti non trattati e in cui c’è spesso eccessiva promiscuità tra uomo e specie diverse. È proprio in queste condizioni che hanno avuto origine l’epidemia di influenza aviaria in Thailandia anni fa e il Covid-19 nel 2020.

Come sottolinea anche il Prof. Giuseppe Pulina, Docente di Zootecnica Speciale presso l’Università di Sassari, Presidente di Carni Sostenibili e fra gli scienziati più autorevoli al mondo, in merito all’attuale diffusione della PSA, la Peste Suina Africana, che ricordiamo non è pericolosa per l’uomo ma solo per i suidi, gli allevamenti “intensivi” offrono una maggior garanzia di sicurezza: “Il fatto di tenere gli animali confinati dà livelli di sicurezza molto elevati. Sono invece gli animali all’aria aperta ad essere i più esposti a questa malattia, se non hanno difese attive, non hanno dei recinti doppi e un controllo sierologico costante. Gli animali confinati hanno livelli di sicurezza talmente elevati che, se eventualmente la malattia entrasse in allevamento, lo si verrebbe a sapere immediatamente e l’allevamento verrebbe considerato subito un focolaio, con l’intervento tempestivo delle autorità sanitarie”.

Gli allevamenti confinati costituiscono quindi una barriera protettiva alla diffusione dei virus, con un maggior controllo sugli animali, maggior precisione ed efficienza, con una conseguente minor richiesta di estensioni di terra e un minor impatto ambientale per unità di prodotto. Una loro espansione in determinate condizioni dettate da politiche mirate a favorire un aumento delle rese e la tutela dell’ambiente, può rappresentare la chiave per vincere molte delle sfide attuali che non solo il settore suinicolo, ma il mondo intero si trovano ad affrontare.

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